Partiamo per cavalleria con il basket femminile: una scelta voluta, di cuore, che racchiude immaginiamo diverse sfumature. Ci dice qual è la spinta che l’ha convinta a prendere in mano la Nazionale femminile?
Partiamo con il presupposto che servire la Nazionale lascia spazio a pochissimi dubbi; la maglia azzurra rende orgogliosi e fieri di farne parte. Poi la pallacanestro è una, ed io per apprezzarla a tutto tondo l’ho sempre studiata a 360 gradi; per cui il basket femminile non mi è per nulla estraneo. Il movimento poi sta producendo giocatrici di livello, per le quali sto avendo delle soddisfazioni enormi.
E poi la punta dell’iceberg… il preolimpico finito male. Senza entrare in inutili digressioni tecnico-tattiche, quale secondo lei il motivo dell’inadeguatezza a livello europeo-mondiale? E’ vero come dice Gallinari che evidentemente non siamo così forti, o c’è qualcosa di più sottile che mina il prodotto nazionale?
Sono una persona che per parlare necessita della conoscenza opportuna di tutti gli aspetti; per questo in generale preferisco parlare con l’adeguata cognizione di causa. Secondo il mio punto di vista, è una questione di dettagli. L’Italia ha perso di 1 o 2 punti contro nazionali che poi hanno fatto benissimo in ambito europeo-nazionale; serve quindi lavorare sulle piccole (grandi) cose, e quale migliori competenze che ora sono in Nazionale per colmare il gap.
Costruzione. Chi meglio di lei può spiegare la metamorfosi: ottimi risultati in ambito giovanile in giro per l’Europa, una categoria (la serie A2) che garantisce minuti per fare esperienza… e poi, flop a livello senior. L’Anello debole dove sta?
Ecco…a proposito di dettagli. Necessario lavorare benissimo con le ultime annate giovanili; e anche qui la cura dei particolari è decisiva. Faccio un esempio: il passaggio. Non c’è solo l’aspetto relativo al gesto tecnico, bensì anche il recepimento di quegli indicatori figli della comunicazione con il compagno di squadra. Quindi, affinare il gesto tecnico per ridurre i tempi del passaggio, coniugato poi con una corretta lettura delle esigenze del ricevente. Un fenomeno come J.C. Carroll, che ho allenato, sublima il proprio potenziale offensivo quando c’è la componente fondamentale del timing del passaggio e della corretta esecuzione.
Sono passati già diversi anni da quando la Federazione e il vostro progetto a livello giovanile “di sistema” ha messo le radici. Un consuntivo del lavoro svolto…
Al di là dei risultati eccellenti in ambito giovanile, con due medaglie a Mannheim (1° e 3° posto), altre sfiorate agli europei per un nulla, e due mondiali consecutivi raggiunti, sono contento per quello che il movimento sta esportando capillarmente lungo lo stivale. Stiamo setacciando l’Italia in lungo e in largo, portiamo competenze e ci confrontiamo con addetti ai lavori, consci che da ogni piccolo angolo del paese, può venir fuori il grande campione. Una volta c’era tanto più reclutamento, c’erano foresterie e un’attenzione particolare alle nuove leve; oggi, la contingenza economica ha mortificato quell’idea (eccetto 3-4 società), ponendo il problema di come far arrivare la passione cestistica dappertutto.
E’ ipotizzabile pensare che il modo di insegnare pallacanestro ai giovani è anche figlio di una fisicità e un atletismo evoluti negli anni?
Troppe volte parliamo “ai tempi di…”. Esistono ragazzi dei tempi che stanno vivendo, punto. Tutto è bagaglio, ed è giusto studiare il passato, instillando nei giovani valori e concetti chiari; poi i dettami devono essere adeguati ai tempi. E’ un po’ il concetto moderno del computer; questa splendida invenzione moderna deve essere utilizzata come strumento per esaltare la propria conoscenza o le proprie capacità, non una scorciatoia all’impigrimento intellettuale. Tutt’ora io uso dettami tattici che si rifanno alla scuola passata…Fondamentale però l’insegnamento dei maestri, ricordando che ogni allenatore è un artista dell’uomo. Come l’artista forgia la creta con certosina attenzione, così il coach cresce un atleta avendo cura dei dettagli e degli aspetti emotivi riferiti ad esso.
Oggi, esistono ancora le scuole cestistiche? E se si, quale rappresenta l’eccellenza?
Le scuole esistono perché esistono giocatori di estrazioni e culture diverse. Non può prescindere dal modus vivendi di un giovane, ed è da questa base che si costruisce poi il miglior percorso verso il successo. Dobbiamo chiederci: di dov’è il ragazzo? E da lì contestualizzare il lavoro. Per quello che concerne la scuola italiana, non sarò certo io a dire l’eccellenza che da sempre ha rappresentato per la pallacanestro europea e mondiale, da Messina a Scariolo, passando per Pianigiani e tanti altri. Rimane un punto di riferimento.
Raffaele Baldini (www.cinquealto.com)