Fonte: La Repubblica, a cura di Nicola Ancella
Conosciuto soprattutto per i suoi tiri “ignoranti” («ma in realtà mi dava più soddisfazione non far segnare l’avversario più pericoloso») Gianluca Basile non è rimasto sorpreso dallo sfogo di Jasmin Repesa, allenatore dell’Olimpia Milano che ha accusato i suoi giocatori di pensare solo alle statistiche personali e di non piegare le ginocchia in difesa.
«Egoisti» li ha chiamati: «Non so se sia egoismo, ma l’ultima generazione di giocatori non ha nelle sue corde la voglia di sbattersi in difesa».
Perché? «L’americano guarda molto alle sue statistiche, cresce con questa mentalità, segnare 20 punti a partita significa garantirsi un buon contratto l’anno successivo. L’europeo ha una concezione diversa del gioco: fisicamente avrebbe i mezzi per dominare sia in attacco sia in difesa ma preferisce concentrarsi su un aspetto solo. E non è la difesa».
Troppo poco per Repesa… «Il coach lo conosco bene, negli anni alla Fortitudo escluso l’episodio Pozzecco (messo fuori squadra nella stagione 2004-2005, quella del secondo scudetto, ndr) non si è mai lasciato andare a uscite clamorose».
Perché lo sfogo, allora? «Un po’ me l’aspettavo. Le sue squadre sono sempre caratterizzate dalla forte impronta difensiva e la Milano di quest’anno da questo punto di vista lascia a desiderare. In Italia il talento ti permette di vincere partite anche quando subisci quasi 100 punti, ma il conto lo paghi in Eurolega».
Dove l’Olimpia è la squadra che subisce più punti. «La partita con il Bamberg è emblematica. Fin quando ha fatto canestro Milano ha dominato, appena le percentuali in attacco sono scese è crollata. Repesa ha voluto lanciare un messaggio forte e mettere i suoi giocatori con le spalle al muro».
Lei, invece, a quasi 42 anni ha deciso cosa farà da grande? «Volete sapere se smetto o continuo? In testa ho tutto chiaro».
Quindi smette? «Se entro Natale non succede nulla sì».
Cosa deve succedere? «Non lo so. La verità è che io sono un indeciso di natura e una porta la lascio sempre aperta. Anzi, socchiusa».
Offerte ne ha ricevute? «Qualche pressione negli ultimi giorni. Capo d’Orlando ha perso per infortunio due giocatori, servirebbe una mano, ma…».
Ma? «La serie A è una cosa seria e a me un po’ di pancetta è già cresciuta… Un po’ mi tengo in forma, però il campo è un’altra cosa. Se non stai bene fisicamente ti mangiano».
Cosa apprezza finora della vita da ex? «Aver guadagnato un po’ di vita vera. Prima la mia giornata era scandita dagli orari e avevo l’assillo del riposo. Oggi mi sveglio alle 6 e mezza, ho più tempo per la famiglia, mi godo il mare, la pesca. E vado a vedermi le partite, ma senza stress».
Negli ultimi anni ha ripetuto spesso di non ritrovarsi più in questa pallacanestro. «Non mi va giù questa sorta di americanizzazione, si vede pochissimo gioco di squadra. Forse è una necessità perché non ci sono più i soldi di una volta, tolte poche eccezioni però lo spettacolo non esiste più».
Puntare maggiormente sugli italiani potrebbe essere una soluzione? «Io sono stato in Spagna e lì gli allenatori a parità di livello scelgono il loro prodotto e non quello straniero. Da noi no, c’è la moda dell’americano a tutti i costi. Quanto alle regole penso che se uno è forte alla fine viene fuori».
Fosse un tifoso dell’ultimo momento si appassionerebbe a questo basket? «Farei molta fatica perché è uno sport che non crea più affezione, fai fatica a identificarti con un giocatore. Ogni anno ne arrivano di nuovi, alcuni non sono neanche forti. Mancano i soldi veri, ma manca anche la voglia di provare qualcosa di nuovo».