Fonte: Repubblica a cura di Walter Fuochi
Degno in tutto degli illustri predecessori, trama ed epilogo, eroi aureolati e mancati, ambiente e passione, il derby numero 104, primo della storia in A2, ha promosso la Virtus, ma non bocciato la Fortitudo. Spento lo tsunami emotivo, si faranno a primavera i giochi veri, cui entrambe si sono mostrate attrezzate a competere. Ribaltata la prospettiva, la stracittadina è già all’indomani un punto di partenza, non d’arrivo. Quel che resta del giorno (o della notte) prevale ora su pensieri ed umori.
Riordinando dunque le trafelate cronache notturne, ed incollando i cocci di una cornice che sconta al solito eccessi esagitati, s’è vista una partita avvincente, intensa, anche ben giocata e discretamente arbitrata, una volta sciolti i nodi dell’orrido primo quarto, che minacciava una proiezione di 40-44 come risultato finale. Meglio la Virtus nella prima metà, meglio la Fortitudo nella seconda, e che al 40’ fosse finita pari non è una citazione del “divino Ettore” (dal vangelo secondo Matteo), ma del referto di gara. La lotteria del supplementare ha tradito tanti (in testa i play: palle perse di Spissu, Ruzzier, Candi), ma non tutti. Umeh, 9 punti degli 11 bianconeri, e Rosselli per nulla.
La Fortitudo l’ha persa riperdendo palle e pallacce (10 nel primo tempo, 2 nel secondo, 5 nell’overtime): è stato quello il suo vizio capitale. Nei 5’ di giustizia sommaria che ha separato buoni e cattivi, la Effe ha sbagliato molto, ma la Vu poco meno, se riavvolgendo il nastro si ritrovano sette palloni ognuno dei quali poteva invertire vincitori e vinti, tormento ed estasi. Umeh segna il gol-partita da tre a 1’11”: 87-85, non verrà più sorpassato (viceversa, avrebbe vinto Italiano, 85-84 a 2’). Dopo il nigeriano, in sequenza, nel minuto finale sbagliano tutti: sfonda Candi, la perde Spissu, manca un libero Knox, sputa su un assist Lawson, stecca la tripla Ruzzier, fa passi Umeh e palo Montano a 2”. Già al 40’, dopo il 76 pari a 44” di Lawson, gli errori erano stati quattro, due per parte (Candi, Spissu, Italiano, Umeh). Un censimento di più sventatezze che prodezze, tanto per pesare qualche residua e corposa distanza fra ieri e oggi.
Dopodichè, 43 punti a 3 degli stranieri, lo scarto è immane e la lettura ovvia, benchè Lawson sia stato il più pallido dei vincitori (Knox, semplicemente, il peggiore in campo). Sostiene Boniciolli che gli manchi una prima punta, verrà Legion o chi per lui, ma andrà innestato in un contesto che non è mancato, l’altra sera, in attacco, dal magnifico Montano a Ruzzier a Italiano. Il pallone resta sempre uno solo e le squadre non sono sempre aggiunte di addendi: serve talvolta anche il levare. L’Aquila esce battuta, ma avendo temuto di potersi fracassare, sulla scogliera del derby, quasi sollevata. Ha perso strada altrove, seminando in provincia prove immonde, ma non giova ridirselo ogni volta, e da corsa rimane: l’impianto difensivo venerdì ha dato fede, specie isolando Lawson, la reazione a un inizio spaventoso pure. E’ viva, benchè piegata da un evento di forte presa umorale, mancati pure due match ball allo scadere (40’ Italiano, 45’ Montano).
La Virtus è stata più solida che brillante, ristretta in organico ai veterani cui Ramagli ha preferito dar scena per un match così delicato (e allora, poco Penna, meno Oxilia, zero Pajola). Viaggia tuttora con un dopo-Ndoja da decifrare e sfiora la minaccia quotidiana di trovarsi a un solo incidente serio dalla fine di tutti i sogni. Nel derby ha subito tirato male dall’arco (2/14 al tè), ma l’ha poi fatto bene (7/13 il resto). Vincere soffrendo, dopo averlo fatto spesso dominando, le darà ulteriore autostima. Intanto, il primato con due partite in meno è un piatto ricco perfino impssibile da sognare, pochi mesi fa.