Questa volta siamo ad altitudini elevate, prigionieri dell’Atlantico e del mar glaciale artico, ospiti di una landa così fotogenica da attrarre due milioni di turisti all’anno, più di sei volte tanto i suoi abitanti. Siamo nella Terra dei fuochi e del ghiaccio, siamo in Islanda. Siamo malati di pallacanestro e progettiamo già di spendere un bel po’ di tempo per trovare un canestro o quantomeno il barlume di un campetto, in uno degli unici angoli d’Europa quasi disabitati e in cui il vero padrone rimane ancora la natura selvaggia.
Ci accorgiamo subito, invece, che di canestri se ne trovano praticamente in ogni centro abitato, o meglio, in ogni paesino che vanti la presenza di una scuola.
In Islanda lo sport sta conoscendo una fase di forte ascesa. Negli ultimi vent’anni il governo locale ha promosso un impegnativo finanziamento per promuovere lo sport, a partire dalle scuole, affinché i ragazzi siano incentivati all’attività, a fare gruppo anziché rischiare di cadere nel tunnel dell’alcol e delle droghe. Nel 1998, infatti, in Islanda il 48% degli adolescenti era abituato a regolari sbronze (fonte Internazionale), il record peggiore in Europa.
In meno di vent’anni il trend negativo si è decisamente invertito e questo grazie alle nuove opportunità di praticare sport ogni giorno, a partire dalle scuole fornite quasi tutte di campo da calcio e pallacanestro. Il progetto statale funziona e ne sono lampante esempio i clamorosi risultati delle nazionali islandesi nelle ultime competizioni europee.
Insomma i canestri si trovano, si fatica tuttavia a trovare qualcuno per una partitella; non c’è nessuno, se non i ragazzini della scuola durante l’intervallo. Ciò che non invita ad andare “al campetto”, è il clima, rigido per gran parte dell’anno. Arduo quindi trovare un compagno di giochi a settembre, seppur, udite udite, la palla si trova sempre. E la si trova là, ai piedi del canestro, magari sotto un cespuglio o tra qualche grumo di neve. Altro regalo statale, il cui progetto prevede che in ogni campo all’aperto venga lasciata una palla, da basket e da calcio, casomai qualcuno ne avesse bisogno.
In Italia durerebbe forse un giorno, prima che qualcuno se la porti via. A Reykjavik e dintorni vi è più solidarietà. E a due tiri non si rinuncia mai. Grazie Islanda!
Sebastian Romano