I ricordi di quell’epopea straordinaria che fu la Stefanel Trieste sono racchiusi nei ricordi di Claudio Pilutti. Uno dei simboli di quella squadra mitica che riportò il basket triestino dalla “tristezza” della Serie B al sogno addirittura di vincere lo scudetto. Un sogno spezzato dal trasferimento a Milano di Stefanel e di mezza squadra, ma forse ancora di più Pilutti viene ricordato con piacere perchè, se pur vero che andò via, anche lui non seguì i suoi compagni a Milano, ma si diresse verso Bologna, sponda Fortitudo, dove nel 1998 vinse anche l’unico scudetto della sua carriera. E ora “Pilu”, tra gli oltre 80 miti del basket giuliano e isontino che domenica 24 febbraio scenderanno in campo all’Allianz Dome di Trieste, è pronto a tornare per partecipare alla gara di solidarietà (aggiornamento al 13 febbraio 2404 biglietti venduti, l’obiettivo è arrivare ai 5000 del 2017 a Bologna) con la promozione Special Price 10. Un unico biglietto al prezzo promozionale di dieci euro in tutti i settori per sostenere il Charity Partner, Made in Carcere, una cooperativa sociale che produce manufatti confezionati da donne detenute ai margini della società ed impegnata ad attività di reinserimento e nuovi percorsi formativi di vita con lo scopo di diffondere la filosofia della “Seconda Chance” e la “Doppia vita dei tessuti”.
Che ricordi ha di quando è arrivato poco più che vent’enne a Trieste?
“Il primo non c’è dubbio che sia l'”Imparatore” (ride, nda). Era uno schiaffo che Tanjevic tirava ai giovani nuovi arrivati in spogliatoio. Si chiamava così perchè imparavi a rispettare lo spogliatoio e la tua squadra. Al di là di questo, è ovvio che i ricordi sono piacevoli, arrivai ancora ai tempi della Serie B per sposare il progetto di Stefanel e Tanjevic. I primi due anni abbiamo vinto due campionati, sono stati 6 anni molto intensi, bellissimi, mi hanno formato sia cestisticamente che come persona e ho giocato con compagni di altissimo livello come Bodiroga, Fucka, Dino Meneghin, Larry Middleton e Nando Gentile”.
Qual è stato il momento più bello e quello più brutto della sua avventura triestina?
“Il primo anno, quando venimmo promossi dalla Serie B alla A2, con me c’erano già altri giovani emergenti Cantarello e Sartori oltre ad Alberto Ardessi come veterano, per la città fu davvero come uscire dall’infermo. Si avvertiva proprio questa sensazione di grande soddisfazione poi proseguita con una straordinaria annata in A2 che ci ha portato in una sola stagione in A1 con Larry Middleton protagonista. Fu un’epopea vera se pensiamo che poi devo indicare come momento più brutto la sconfitta nella finale di Coppa Korac contro il Paok Salonicco. All’andata in Grecia avevamo perso, ma avevamo contenuto lo scarto, pensavamo di potercela fare a Trieste e invece perdemmo anche in casa, fu una delusione vera”.
Si è sempre detto che uno dei valori aggiunti di quella Stefanel fu il coach: cosa vi dava in più Tanjevic?
“Era un maestro vero e proprio, molto rigido, intransigente, ma quando seguivi la sua disciplina del lavoro allora andavi davvero a nozze con lui. Per questo voleva sempre giocatori giovani e di carattere. Puntava molto sulla concentrazione e sulla mentalità, era un perfezionista, facevamo mille allenamenti. Al termine del ciclo non lo sopportavo più, ma ora riconosco certamente quanto sia stato importante per tutti noi. Addirittura quando venne a giocare da noi Dino Meneghin non fece sconti. Lui era la storia del basket, ma i fondamentali al mattino li doveva fare anche lui con i ragazzi”.
Poi l’esperienza Stefanel praticamente in pochi giorni fini nel nulla. Che ricordi ha di quello sfaldamento?
“In realtà lui ci disse ben poco, per il marchio Stefanel la città di Milano era una piazza ambita, dava modo al brand di espandersi. Purtroppo a Trieste c’era il problema del palazzetto, forse se ci fosse stata la possibilità di farne uno nuovo si poteva continuare quel grande ciclo. Non fu così ed è stato un peccato. Ora quella nuova arena è stata costruita e meritatamente Trieste è tornata in Serie A”.
Lei fece una scelta diversa dagli altri, però, e andò alla Fortitudo. Perchè?
“Devo dire che Milano non mi piaceva e poi pensavo fosse arrivato il momento di cambiare aria e tipologia di lavoro sul campo. Dovendo cambiare ho preso la palla al balzo e la soluzione della Fortitudo fu davvero perfetta”.
Anche perchè a Bologna vinse lo scudetto. Lo ritiene il momento più alto della sua carriera?
“Sicuramente è stato il coronamento di un lavoro di anni. Non sarei arrivato a quel punto se non fosse stato per tutto quello che ho fatto, anche negli precedenti, a Trieste. E’ stato il primo storico della Fortitudo, fu una grande emozione per tutti. Devo dire che mi sarebbe piaciuto vincerlo anche Trieste, forse sarebbe stato possibile se il progetto fosse andato avanti”.
Ora torna in città con l’Old Star Game. Ha già giocato un paio di anni quello di Bologna. Che emozione ha vissuto?
“A Bologna fu una grande emozione e ne fui anche un po’ sorpreso, perchè in quella città ci vivo, la frequento e conosco tutti, ma ritornare sul parquet con quei ragazzi è stato bellissimo”.
E Trieste cosa proverà?
“A Trieste non vedo l’ora di esserci e so che sarà un’emozione altrettanto forte. Ti dico che se avessimo giocato al Chiarbola (lo storico palasport degli anni Stefanel, nda) avrei anche sicuramente pianto, perchè quello è il simbolo della mia vita cestistica. Sarà piacevolmente duro affrontare questo Old Star Game perchè sarò felice di tornare a condividere in città la passione per il basket. Sono davvero molto contento che sia tornata nella massima serie. Quando è salita l’anno scorso mi sono scritto con Cavaliero e mi sono rivisto 28 anni prima, quando festeggiavo la promozione sul campo. Emozionante, anche quello”.