C’è un legame particolare, fatto di storie avvincenti e incredibili avventure, che lega la pallacanestro italiana con il mondo dei professionisti della palla a spicchi made in USA. Il viaggio dei cestisti tricolori alla volta del “nuovo mondo” parte da lontano, a dispetto di quanto le cronache sportive hanno raccontato sinora. Siamo negli anni Settanta e per la prima volta un atleta italiano viene notato dalle franchigie oltre oceano. Si tratta di Dino Meneghin, autentico emblema della pallacanestro italiana ed europea, che venne scelto al Draft alla 182esima posizione (era l’undicesimo giro) dagli Atlanta Hawks. Quella di Meneghin fu una scelta simbolica che comunque non permise al totem di Varese di trasferirsi negli Stati Uniti. Qualche anno più tardi (nel 1986) stessa sorte toccò ad Augusto Binelli, centro della Virtus Bologna, selezionato con il numero 40 ancora una volta dagli Hawks ma mai realmente ingaggiato dalla società americana. I tempi erano maturi per il salto dei giocatori europei nella NBA e così, dopo le Olimpiadi di Seoul del 1998, vi fu il primo grande sbarco dei giocatori non-americani sui parquet della lega professionistica USA, con nomi del calibro di Vlade Divac e Drazen Petrovic che negli anni successivi hanno scritto alcune delle pagine più belle della storia della lega di pallacanestro più famosa al mondo.
Esposito e Rusconi, gli apripista.
I primi italiani a fare il grande salto oltre oceano furono Vincenzo Esposito e Stefano Rusconi nella stagione 1995/1996, una delle più travagliate e memorabili degli ultimi trent’anni in NBA. Quello, infatti, fu l’anno del ritorno sul parquet con Chicago di Michael Jordan dopo una pausa di riflessione di diciotto mesi. Esposito e Rusconi debuttarono in una lega che, per la prima volta in decenni di storia, si trovò ad affrontare il lockout (lo sciopero dei giocatori) che però non pregiudicò lo svolgimento del campionato. Esposito giocò con i Toronto Raptors 30 partite quell’anno, segnando 3,9 punti di media mentre Rusconi con i Phoenix Suns non riuscì mai ad integrarsi, giocando solo 7 gare. L’anello fu vinto dai Bulls che in squadra, oltre al talento indiscusso di Jordan, potevano contare anche sull’ex Treviso Kukoc (nominato miglior sesto uomo a fine campionato) e Dennis Rodman, tra i personaggi più discussi ed eccentrici dello sport ma pedina fondamentale per il secondo three-peat di Chicago.
La conquista degli italiani in NBA si materializzò con il nuovo millennio. Nel 2006, uno dei migliori giovani prospetti dell’Eurolega e campione d’Italia con la Benetton Treviso, Andrea Bargnani, fu scelto dai Toronto Raptors addirittura con il numero 1. La “pick” di Bargnani è rimasta nella storia della NBA per essere stata la prima chiamata assoluta di un giocatore europeo in NBA. L’ala-centro disputò con la franchigia canadese sette campionati tra alti e bassi, tuttavia mai convincendo i propri tifosi. Oltre Toronto, Bargnani ha vestito anche le maglie dei New York Knicks e nel dei Brooklyn Nets, chiudendo dopo quell’annata la propria esperienza in terra americana e scegliendo di ritornare a giocare in Europa.
Il primo italiano a vincere in NBA.
Dopo lo sbarco di Bargnani negli USA, nel 2007 arriva l’occasione in NBA per Marco Belinelli, selezionato con il numero 18 dai Golden State Warriors. Quella di “Beli” negli Stati Uniti è stata (ed è) probabilmente una delle più belle favole sportive mai vissute da un atleta italiano. Tiratore formidabile, la guardia tiratrice di San Giovanni in Persiceto, anno dopo anno, è riuscita a conquistarsi la stima e il rispetto di una lega che è sempre stata guardinga nei confronti degli specialisti provenienti dal vecchio continente. Belinelli, oggi veterano in NBA, ha vestito le maglie di Toronto, New Orleans, Chicago, Sacramento, Charlotte, Atlanta e Philadelphia. Ma è stata l’esperienza con i San Antonio Spurs che gli ha permesso di conquistare il titolo NBA (primo e sinora unico italiano a riuscirci), diventando un punto fisso della squadra allenata da coach Gregg Popovich, finanche ad arrivare a vincere la gara del tiro da 3 punti all’All Star Game del 2014.
Il 2008 fu, poi, l’anno dell’arrivo di Danilo Gallinari negli USA. Il Gallo fu scelto dai New York Knicks di Mike D’Antoni, diventando subito il leader della squadra. Successivamente, il figlio d’arte si spostò a Los Angeles per firmare con i Clippers un triennale da oltre 20 milioni di dollari a stagione (è il giocatore italiano più pagato di sempre in NBA). Oggi Gallinari gioca con gli Oklahoma City Thunder.
Il resto è storia nota. Nel 2013 è stata la volta di Gigi Datome che ha giocato negli USA per due stagioni con le maglie di Detroit e Boston; nel 2019, infine, è cominciata l’avventura oltre oceano di Nicolò Melli che, gara dopo gara con la canotta dei Pelicans, sta provando a ritagliarsi il suo spazio in una lega sempre più competitiva.
Il futuro? Il nome da tenere sott’occhio è quello di Nico Mannion, figlio dell’ex cestista Pace Mannion e della pallavolista Gaia Bianchi, playmaker tra i più forti della NCAA con la maglia dell’Università di Arizona. Mannion, che ha già esordito con la nazionale italiana, dovrebbe finire addirittura tra le prime dieci chiamate del prossimo Draft. Chissà non sia proprio lui l’erede di Belinelli in NBA.