Una bella testimonianza di speranza arriva dall’Estremo Oriente, proprio la “zona” che all’inizio della pandemia era quella più tacciata di contagi da Covid-19. La “Nazionale di Siena”, e nella fattispecie Paola Tomassoni, ha intervistato Giulio Griccioli, l’assistente allenatore di Simone Pianigiani ai Bejing Ducks: e questa testimonianza è assolutamente da riprendere, anche per mostrare a tutti coloro che lavorano nel “nostro” mondo dello sport come si stia evolvendo la pallacanestro negli altri paesi.
“Era il 15 settembre quando al telefono Simone Pianigiani mi ha proposto di seguirlo in Cina ai Bejing Ducks. Tempo 24 ore e, dopo averne discusso con la famiglia, ho dato la mia disponibilità” racconta Giulio Griccioli. L’allenatore senese, ex Mens Sana Basket ma anche coach a Scafati, Capo d’Orlando, Casale Monferrato e Virtus Bologna, è oggi a Pechino, in Cina, là dove il virus è partito.
Quale il primo impatto?
“Dopo una lunga trafila di documentazioni per ottenere il visto, sono finalmente arrivato a Pechino il 10 ottobre dove sono rimasto in quarantena, in uno spring resort alle porte della città, per 14 giorni, come da protocollo. Poi 3 giorni di ulteriore quarantena voluta dalla Cba, la lega professionistica, cinese, ma con piena libertà di movimento. Il 27 ottobre ci siamo trasferiti nella città di Zhuji, nella provincia dello Zhejiang a sud della Cina, dove la squadra ha iniziato il campionato nella ‘bolla’ in stile NBA organizzata dalla Lega”.
Quando te lo hanno proposto hai pensato al virus?
“Come non pensarci! Ma già allora le notizie che arrivavano erano più che rassicuranti. In realtà non ero tanto preoccupato per me che andavo là, ma per chi sarebbe rimasto in Italia. La preoccupazione era essere lontano dalla famiglia in un momento duro a causa della pandemia, con la consapevolezza che difficilmente sarei potuto tornare in fretta in caso di necessità”.
Com’è la situazione ora?
“E’ visibilmente sotto controllo. La loro capacità di reazione ad eventuali focolai è immediata. A Qindao sono stati fatti 9 milioni di tamponi in 5 giorni dopo la scoperta di alcuni positivi al Covid. Qui si sta oggettivamente più sicuri che altrove, forse più sicuri che in ogni altra parte del mondo. Il virus all’interno della Cina è stato combattuto con chiusure e tamponi a tappeto; dall’esterno difficilmente arriva, dopo la chiusura delle frontiere e i tanti esami per entrare”.
Quali?
“La prassi da seguire era questa: 3 giorni prima della partenza bisogna sostenere in Italia un test Covid, se negativo puoi partire. All’imbarco devi scansionare e compilare un modulo dove sostanzialmente inserisci quelli che saranno i tuoi contatti diretti e indirizzi di riferimento una volta atterrato. All’arrivo altri moduli da compilare e la ripetizione sul posto del tampone. Tutto prima di essere portato nell’albergo destinato alla quarantena. Là ti viene dato un termometro e sempre tramite una app comunichi 2 volte al giorno allo staff sanitario eventuali malesseri e temperatura corporea. A fine quarantena un ulteriore tampone”.
Poi si convive col Covid?
“Si è liberi di fare una vita totalmente normale. Agli ingressi dei centri commerciali e luoghi pubblici affollati devi scansione un QR code che è direttamente collegato al tuo passaporto ed in automatico rilascia una schermata in cui si dice che non hai problemi legati al Covid. Quindi ogni tampone che fai entra in una banca dati che è direttamente collegata al tuo documento ed al telefono tramite WeChat. I tuoi movimenti sono tracciabili nella quasi totalità. Per cui non ci sono misure di restrizione particolari. La mascherina è una buona norma portarla, ma se non ce l’hai non ti fermano”.
Tutto nella normalità?
“Le scuole sono aperte e lo sport va avanti liberamente: la CBA ha previsto, in caso di eventuale recrudescenza del virus, tre fasi in cui ha suddiviso la stagione regolare. Ad oggi dovremmo svolgere anche la fase due in condizioni di protezione nella bolla di Zhuji. Mentre tutti ci auguriamo di poter tornare ad un normale ritmo casa-trasferta da febbraio”