Una stagione difficile per tutti, ma in particolar modo per le due squadre bolognesi, che ha acceso discussioni, dibattiti e prese di posizione in tutta l’Italia cestistica. Anche chi abita a centinaia di km di distanza non può non schierarsi dopo gli esoneri, uno dietro l’altro e per motivi evidentemente diversi, di Sacchetti e Djordjevic. Perché? Perché non si tratta di una città qualsiasi ma di Bologna, Basket City per antonomasia, arena di passioni così forti da interessare anche chi non porta nel cuore né il vessillo con l’Aquila né la V nera.
Se per noi che non abitiamo nella Dotta, dai portici più belli d’Italia, risulta difficile capire le dinamiche che hanno scosso Piazza Maggiore e dintorni, allora leggiamo l’ultimo articolo di Luca Corsolini che prova a portarci nel “dietro le quinte” di uno dei momenti più difficili del basket felsineo, alla ricerca di identità, ruoli e stelle NBA sedute in panchina.
Ma non solo: Corsolini ci ricorda il perché di certi investimenti si siano ritrovati a dover far fronte con la dura legge del Covid, che tutto e tutti ha spiazzato. E’ lo stesso giocare con o senza pubblico? Quanto abbiamo bisogno di confronto per avere consapevolezza della nostra esistenza?
Tratto da www.ilpallonegonfiato.com – articolo di Luca Corsolini
Basket City si è persa
Non si parla di risultati, ma di identità. Dando lo sfratto dal Paladozza, il Covid ha modificato il rapporto di Virtus e Fortitudo con la loro gente.
Bologna è diventata definitivamente Basket City nel 56. Serviva un terreno fertile e quello c’era già prima della guerra, poi la passione è cresciuta grazie all’abbraccio della città per tutto quanto aveva un collegamento con gli States, persino l’amore per il cinema, per il jazz, è nato nello stesso modo. Il basket era un riassunto se non totale di tante emozioni diverse: lo prova, ad esempio, il fatto che il Gira sia nato, squadra di basket appunto, da un gruppo di tifosi di Girardengo. Soprattutto serviva una casa e quello fu subito il Palasport di Piazza Azzarita, un gioiello unico in Italia, tale ancora oggi dopo oltre sessanta anni, il Madison che si poteva raggiungere comodamente a piedi, in bicicletta, in motorino.
Il Palazzo, la nostra casa
Dire vado al Palazzo è stato per anni come dire vado in Piazza, ovvero vado a esibire e cercare al tempo stesso la mia identità, la curva di una squadra da una parte, la curva di una squadra dall’altra, in campo i ricordi comuni, persino quelli condivisi con la città che in piazza Azzarita magari non ci è andata per il basket ma per la boxe, i concerti, da ultimo pure il Teatro Comunale ha trovato rifugio qui nei tempi tristi che stiamo vivendo.
Questa identità forte il Covid ha contagiato in modo subdolo, difficile da riconoscere, dunque difficile da capire. Nell’estate scorsa, quando tutti vedevamo una luce, abbagliante, in fondo al tunnel, sia Virtus che Fortitudo hanno pensato che la ripartenza non potesse avvenire nel Paladozza, come se la grandezza ormai certificata di Basket City, e ritrovata dopo anni, non potesse più stare in piazza Azzarita. Non era tanto una bocciatura del passato, quanto la ricerca di ossigeno, per respirare, e respirare aria nuova, di ritrovata grandezza: la Virtus alla Segafredo Arena nella sua caccia a Milano e, forse ancor più, a un posto in Eurolega; la Fortitudo all’Unipol Arena e di nuovo nelle coppe europee, certificazione di un ritorno tra le grandi.
Basket City senza ossigeno: si respira male
L’ossigeno cercato era anche quello della ricchezza esclusiva di Basket City: incassi ricchi come da nessuna parte, campagne abbonamenti più potenti di un razzo di Elon Musk. Il Covid aveva ridotto il Paladozza a una capienza misera, da una parte e dall’altra si pensava di poter accogliere abbastanza gente da essere in pole position. Cosa è successo poi lo sappiamo adesso, nel pieno della seconda ondata, in allerta per evitare la terza: quella luce era in effetti un abbaglio, una certezza che si è sgretolata in pochi giorni. Arene chiuse, incassi azzerati: da una parte, in Virtus, il problema sono diventati i mancati ricavi a fronte di spese ingenti; dall’altra, in Fortitudo, la mancanza della solita spinta, quella economica, dei tifosi si è subito tradotta in conti da rivedere con spese cresciute in fretta e budget da aggiornare costantemente in corso d’opera.
Separati non sappiamo chi siamo
Ma gli effetti più forti il Covid li ha prodotti separando, di fatto, squadra e tifosi, società e tifosi, Basket City da una passione che aveva un suo sfogo nelle partite al Palazzo. Non è la stessa cosa vedere le partite in tv. Non è la stessa cosa commentare un bell’assist o una difesa orribile (dato tecnico in comune alle due squadre) sui social. In più abbiamo scoperto, dopo che anni di retorica avevano ridotto a banalità il fattore campo, ovvero il peso dei tifosi in una partita, che quel fattore è concreto, per i singoli giocatori e per le squadre: l’incitamento del pubblico alza l’adrenalina, inibisce gli avversari, quasi spinge il pallone nel canestro e alza un muro contro i tiri degli altri. Insomma, il Covid ha spiazzato tutti e lo vediamo in questi giorni di prime pagine conquistate da Virtus e Fortitudo non per i loro successi quanto piuttosto per i loro smarrimenti. Che sono gli stessi, dalla parte di chi continua a investire, come la Segafredo ha fatto prendendo Belinelli, infilandosi poi in un corto circuito comunicativo quando l’annuncio del colpo è stato pareggiato e superato dalle condizioni fisiche del giocatore tali da non permetterne l’esordio.
E dalla parte di chi, oltre tutto, si trova a fronteggiare la massima di Freak Antoni: la fortuna è cieca, ma la sfiga ci vede benissimo, deficit aggiuntivo della Fortitudo che ha una lista di infortunati lunga quanto i cattivi pensieri. E gli smarrimenti sono anche dei tifosi: nessuno può andare in Piazza a controllare come stiamo, dunque un po’ tutti ci stiamo chiedendo chi siamo. Eravamo Basket City e adesso ci manca tanto una conferma di questa identità.
Gli esoneri di Sacchetti e Djordjevic obbligano quasi a una copertura in diretta, minuto per minuto, di quanto succede a Virtus e Fortitudo, di quanto succede in Virtus e in Fortitudo. Però sembrava a me e pure alla direzione del sito che, intanto, fosse necessario presentare lo scenario in cui maturano tante decisioni. Come dicono quelli, stay tuned. State in campana.
Luca Corsolini