L’Olimpia debutta in campionato domenica a Trieste, ovvero la città con cui è più legata e al tempo stesso divisa. Il connubio Olimpia-Trieste è parte vitale della storia del club ma anche coerente con il ruolo che il capoluogo giuliano ha avuto nella storia della pallacanestro italiana. Trieste fin dagli anni ‘30 è stata di fatto la Capitale del basket italiano prima di tutto in termini di giocatori prodotti, di talento locale, poi anche come risultati.
La Ginnastica Triestina, ovvero la prima squadra di Cesare Rubini, vinse il primo scudetto nel 1930 quando l’Olimpia non esisteva ancora. E quando Rubini al comando di altri sette triestini venne convinto da Adolfo Bogoncelli a trasferirsi a Milano, la Ginnastica contava già cinque scudetti. Ancora oggi Trieste è la città che ha consegnato il maggior numero di giocatori alla Nazionale italiana. Il rapporto stretto con Milano dura ormai da quasi 100 anni considerando la presenza oggi all’Olimpia del miglior giocatore triestino dell’ultima generazione, Stefano Tonut (a Trieste ha giocato solo nel campionato di A2, prima di trasferirsi a Venezia).
Del resto, metà delle origini dell’Olimpia appartengono a Trieste. Il club infatti ha due anime, una in via Washington a Milano dove aveva sede l’azienda Borletti e dove giocò nei primi anni di attività, e l’altra è un’anima triestina. Bogoncelli fu infatti il fondatore della Triestina Milano che nel secondo dopo guerra era formata da giocatori triestini ma aveva Milano come sede. Tra questi il leader era Rubini. Successivamente la Triestina si trasferì a Como e infine si fuse con il Borletti portandole in dote i propri giocatori e ricevendo la sponsorizzazione.
Cesare Rubini era il giocatore simbolo di quella squadra, un triestino di origini dalmate la cui famiglia aveva scelto di essere italiana nel 1920 in seguito al trattato di Rapallo che dopo il primo conflitto mondiale consegnò all’Italia i territori del confine orientale, tra cui Gorizia e Trieste garantendo la cittadinanza italiana a oltre 300.000 persone di madre lingua italiana ma precedentemente sudditi dell’impero austro-ungarico. Per questo Rubini diceva di essere due volte italiano. Era italiano in quanto triestino di via della Torretta, ma era anche italiano perché i suoi genitori avevano scelto di esserlo.
Nel primo gruppo di triestini dell’Olimpia spiccano due storie in modo particolare. La prima è quella di Luigi “Tuccio” Sumberaz, nato a Fiume nel 1921 e grande promessa nel calcio. Giocava attaccante nella Triestina al punto da debuttare in Serie A sotto la guida del famoso Luis Monti, un centrocampista argentino che diventò campione del mondo con l’Italia nel 1934 da oriundo. Nel 1939, finita la carriera di giocatore, Monti diventò il tecnico della Triestina e lanciò in prima squadra il diciottenne Sumberaz. Giovanissimo, Sumberaz venne ceduto al Pisa l’anno seguente, ma in Toscana la sua carriera si arrestò. Come molti all’epoca praticava più sport: scontento di com’era andata nel calcio, si diede al basket a tempo pieno. E arrivò in Serie A, all’Olimpia, debuttò in Nazionale e vinse anche lo scudetto del 1950.
L’altra storia è molto più drammatica. Giovanni Miliani era uno dei migliori giocatori dell’Olimpia dei triestini, un giocatore della Nazionale agli Europei del 1947, che un anno aveva chiuso la stagione al secondo posto della classifica marcatori, preceduto solo dal fratello che giocava nella San Giusto Trieste. Nonostante il suo status, Miliani aveva scelto di pensare alla propria sicurezza economica durante la sua carriera sportiva e integrare lo stipendio da giocatore – o il contrario – con quello di operaio alle Officine Valsecchi. Aveva 32 anni quando in gassificatore esplose portandolo via ad appena 32 anni il 24 aprile del 1953, l’anno del suo quarto scudetto. La celebre partita al Vigorelli degli Harlem Globetrotters venne dedicata a lui da Bogoncelli.
Dopo la prima brigata di triestini, a Milano nel 1950 arrivò un altro triestino, per la verità nato in Dalmazia: Romeo Romanutti aveva giocato sia nella Ginnastica che in un’altra delle squadre giuliane dell’epoca, la Lega Nazionale Trieste, anch’essa una polisportiva. Era uno dei più grandi realizzatori dell’epoca. Lui e il veneziano Sergio Stefanini con Sandro Gamba e Ricky Pagani costruirono la seconda dinastia biancorossa. Romanutti a Milano vinse cinque scudetti.
Il grande triestino successivo fu il primo playmaker moderno del basket italiano, Gianfranco Pieri. Detto il Professore giocava centro nella Triestina ma venne convertito in playmaker da Rubini. Il processo di adattamento al nuovo ruolo durò un anno. Poi Pieri diventò il miglior regista italiano per oltre un decennio e uno dei migliori in Europa. Quando ancora giocava, Pieri accolse al Simmenthal il proprio erede. Aveva caratteristiche tecniche diverse, più guardia, più selvaggio, meno ragionatore ma dotato comunque di immenso talento, Giulio Iellini. Pieri e Iellini erano i due playmaker della Coppa dei Campioni del 1966. Quando Pieri si ritirò Iellini ne raccolse il testimone diventando il leader tecnico della squadra dei tre spareggi consecutivi contro Varese tra il 1970 e il 1973. Pieri vinse nove scudetti con l’Olimpia; Iellini a Milano ne conquistò cinque, oltre a tre coppe internazionali.
La direttissima Trieste-Milano diventò meno trafficata nei venti anni successivi. Il centro Renzo Vecchiato, un altro triestino, arrivò a Milano nel 1976 ma restò solo due anni prima di essere ceduto tanto che la sua carriera è identificata piuttosto con le esperienze di Torino e Pesaro dove è stato un acerrimo rivale dell’Olimpia.
La storia riprese in modo imponente nell’estate del 1994 quando Bepi Stefanel, ironicamente trevigiano come Bogoncelli, acquistò l’Olimpia travasando i migliori giocatori della squadra che aveva a Trieste tra cui il triestino Sandro De Pol e il veneto trapiantato a Trieste, Davide Cantarello. Quella squadra vinse lo scudetto del 1996. Bogdan Tanjevic, che di fatto è diventato triestino, era l’allenatore. Il nipote di Cesare Rubini, Giorgio Rubini, fu vicepresidente operativo del club.
Stefano Tonut è l’ultimo triestino a vestire la maglia dell’Olimpia. Ironicamente è il figlio di un altro grande giocatore giuliano anche se Alberto Tonut dell’Olimpia è stato solo fiero avversario soprattutto quando era a Livorno. E proprio Alberto era il giocatore che subì il celebre tuffo di Bob McAdoo nella finale scudetto del 1989.
Domenica alle 12:00 l’Olimpia gioca in un’arena che – salvi i diritti degli sponsor – è intitolata a Cesare Rubini. Non c’è luogo più adatto alla storia dell’Olimpia per cominciare una nuova stagione.
Uff. stampa Olimpia Milano