Game rewind: Trieste-Milano

Mentre i campioni in carica dell’Olimpia Milano sfilano seri verso gli spogliatoi, Denzel Valentine dall’altro lato del canestro improvvisa un balletto tutto suo davanti a qualche compagno di squadra, prima di avviarsi anche lui nel tunnel che passa sotto la curva di Trieste. La coreografia è decisamente casereccia, ma poco importa perché Denzel è contento e se la gode insieme agli altri artefici del debutto da sogno in Serie A. Ha appena contribuito a mettere a ferro e fuoco la difesa di coach Messina restando in equilibrio sulla sottile linea che divide la spensieratezza dalla superficialità, contagiando tutto e tutti con quel suo modo di stare in campo inconfondibile: costantemente pronto a scommettere su sé stesso ma senza darsi troppa importanza, che ogni nuovo possesso è un dono e l’unico rimpianto è non goderselo al massimo.

E pensare che alla vigilia c’era poco da stare sereni, Milano è una squadra prestante fisicamente, con grande stazza e fisicità in tutte le posizioni e soprattutto un reparto lunghi da far venire i brividi: Mirotic e Nebo, con il gigante Diop pronto a uscire dalla panchina. Vista anche l’assenza di Reyes era legittimo un certo grado di preoccupazione, e in effetti il primo quarto ha visto i lunghi citati imporsi segnando metà dei ventidue punti dell’Olimpia. L’inerzia comincia però a girare nel secondo periodo, quando Colbey Ross prima prende uno sfondamento parandosi davanti a Diop incurante del pericolo e poi inizia a farsi strada verso il ferro con una frequenza allarmante per coach Messina, che chiama timeout ma non riesce proprio a limitare le scorribande del #4 di casa.

Mentre Milano continua metodicamente a cercare di imporre la propria supremazia fisica, sono i piccoli di Trieste a dare uno strattone alla partita, volando in contropiede dopo aver rubato palla e infilandosi in ogni spiraglio disponibile a metà campo; saranno oltre cinquanta i paint touches* alla fine per Trieste, capace di assalire il pitturato contro una squadra che ha, dopotutto, vinto la lotta a rimbalzo per 39-22.

Se il trio terribile di guardie composto da Brown, Ross e Valentine si è preso la scena, supportato dall classe e dall’esperienza di un Jeff Brooks che sembra già di casa per come dialoga con il pubblico triestino, c’è anche chi si è sobbarcato un lavoro più oscuro ma non meno vitale: Jarrod Uthoff, in campo per trentacinque minuti di cui ventisei passati a mettere i bastoni tra le ruote ai 208 cm di classe cristallina di Nikola Mirotic.

“Lui è uno dei migliori in Europa, non è stato semplice e ovviamente ha segnato lo stesso i suoi punti; io ho provato a difendere con tanta energia per aiutarci a vincere. Ha messo un paio di canestri difficili contro di me: quando succede puoi solo pensare ‘ok, bravo lui, testa al prossimo possesso’” racconta Uthoff, a secco dal campo ma autore di tre stoppate, “sono cresciuto tardi in altezza, fin da giovane ho dovuto marcare giocatori più alti di me: bisogna iniziare a lottare per la posizione fin da subito, farli lavorare tanto e non concedere canestri facili”.

Milano non molla la presa ed a cavallo tra terzo e quarto periodo si fa sotto guidata da Zach LeDay, che carica di falli Trieste e va in lunetta ben dieci volte nel corso dell’incontro. Valentine risponde colpo su colpo e riesce a mandare i suoi all’ultima pausa in doppia cifra di vantaggio, prima segnando da almeno otto metri e poi trovando un prontissimo Ruzzier in angolo allo scadere.

A poco più di trenta secondi dall’inizio dell’ultimo quarto è proprio LeDay a infilare la tripla del meno sette che fa tremare il PalaTrieste; a rintuzzare l’offensiva lombarda stavolta ci pensa Francesco Candussi, che nel giro di pochi secondi mette a referto una bomba pesantissima e una stoppata altrettanto importante per fermare l’inerzia ospite. A chiudere i conti ci pensano i due veterani Jeff Brooks e Markel Brown che, dopo l’ultimo canestro segnato con cui spazza via ogni velleità di rimonta, torna in difesa facendo spallucce alla maniera di Michael Jordan. Adesso bisogna solo aspettare la sirena, mentre Paul Matiasic, alla sua prima partita da Presidente, incita il pubblico e dà il via alla festa sugli spalti.

*numero di volte in cui un giocatore in possesso di palla ha messo i piedi in area avversaria

Uff. stampa