Oscar Eleni sullo scudetto milanese

Fonte: Indiscreto.info a cura di Oscar Eleni (“I Robin dello scudetto relativo”)

Riportiamo uno stralcio dell’articolo sullo scudetto di Milano.

Oscar Eleni dal Sasso del predicatore nel bosco di Bomarzo, natura selvatica della Tuscia, fra i mostri di pietra come l’Orca legaiola, il Drago delle famiglie armate a protezione dei loro piccoli ras del quartiere che preferiscono il torvo sguardo al duro lavoro per essere davvero campioni, elefanti e tartarughe. Una famiglia allargata per urlare al mondo che anche il campionato italiano di basket è finito. Finalmente, sospira Petrucci che al Messina titubante sul dopo preolimpico, speriamo dopo l’Olimpiade, presenta i campioni di casa, quindi il Cinciarini rivisitato dagli spettri e liberato sul campo della passata gloria e l’Alessandro Gentile che ora farà sospirare perché esiste chi potrebbe dargli più del milione di euro della casa Armani nella Europa granda, o, come dicono i moltissimi estimatori a voce alta, magari la stessa Houston di Mike D’Antoni. Glieli porterà insieme agli “espatriati” per scelta di vita che pure hanno vinto il titolo nei posti dove li hanno adottati: Gigi Datome, che a Milano ci sarebbe stato benissimo, MVP con i campioni del Fenerbahce; Nicolò Melli, ah che sbaglio lasciarlo andar via perché con Repesa avrebbe fatto i progressi visti nella splendida gestione del Trinchieri che ha rivinto il titolo tedesco col Bamberg e ora potrebbe anche essere interessato alle offerte del Maccabi che punta anche sul Pianigiani; Daniel Hackett maritato e vincitore del titolo greco con l’Olympiakos.

Serviranno tutti belli carichi al prode Ettorre perché della Croazia ci fidiamo pochissimo, le sfide con l’Italia stuzzicano la gente di quel mare, e la Grecia, con Antetokounmpo, va presa per la coda prima che ci strangoli a rimbalzo. Su Azzurra, però, torneremo nei prossimi giorni. Adesso dobbiamo onorare vincitori e vinti nel bosco degli Orsini, fra orchidee selvatiche, scoprendo il relativismo dello scudetto. Chi ha vinto giura di essere stato favorito soltanto a parole, nei fatti ci credevano in pochi. Per la verità sono stati i fatti, fra eurolega e play off contro Venezia, a far venire molti dubbi. Chi ha potuto mettersi un capello fuori taglia con il numero 27, il nuovo campo base degli scudetti Olimpia sulla montagna sacra dei vari sport in Italia, ora ci spiega, dopo aver moltiplicato pani e pesci offerti dal ricco mecenate, l’origine del vino e dell’illuminazione, le sofferenze di una stagione difficile avendo rinnovato tutta la squadra, costruendola intorno a Gentile. Se Milano ha sofferto cosa dovrebbero dire le sue avversarie. Tutto rose e fiori a Sassari detentrice spodestata dopo aver disarcionato Sacchetti? A Venezia dove hanno dovuto sacrificare Recalcati per capire? A Trento o Cremona arrivate alla fine in pezzi? Cosa dovrebbe dire il Max Menetti che alla fine girava disperato cercando non con occhi da tigre, ma, fra i lividi, le stampelle, i mille infortuni di Reggio, uomini che potessero almeno vedere un solo canestro, non il doppio come è capitato a sciagura Veremeenko, al giovane Silins, il più maltrattato dagli arbitri dove, ancora una volta, Lamonica e Sahin hanno dimostrato di essere di qualità superiore nel rapporto potere-legge-uomini, anche se bisogna dire che, a parte gara due, c’è stato un buon rapporto fra gioco, giocatori e direttori di gara.

Relativismi in questo masobasket che si è superato “difendendo” la diretta di garasei in concomitanza con l’esordio dell’Italia calcistica all’europeo, che ha qualificato la sua mentalità da strapaese in stridente contrasto con il bullismo delle sette partite in semifinale e finale, cosa che in Europa nessuno osa fare, neppure dove i giocatori sono pagati più che a Milano, anche se a qualcuno piace e Alfio Caruso, viaggiatore viaggiante fra grandi giornali e bei libri scritti, ci ha fatto sapere, come nei giorni in cui era demiurgo amatissimo in una bella redazione sportiva o in giornale di qualità, che a lui piacerebbero sette partite anche nei quarti. Andrebbe bene, caro Fredi, se avessimo palazzi decenti, dove il pallone non diventa saponetta, unica scusa per Veremeenko, se la cadenza non fosse di gare ogni 48 ore perché si va oltre il limite di soglia nella fatica e poi succede quello che sappiamo in altri sport dove si esapera tutto, dalla salita, alla scarpetta, alla bici, alla racchetta. Certo non convinceremo mai uno che sfidava il traffico di Milano, fra i primi, con la sua bicicletta, che è nato in Sicilia me è figlio naturale del Vittorio Alfieri del volli fortissimamente volli. Gli piace la fatica, la battaglia. Non possiamo permettercelo, non dovremmo permettercelo. Si goda intanto, come allenatore di giornalisti, di aver allevato un Zapelloni, vice in Gazzetta, l’unico che abbia avuto il coraggio di dire a lorsignori che in posti seri avrebbero dovuto dimettersi tutti, prigionieri di calendari, usi e costumi da troglocestistico. Comunque sia mentre si gira fra ponti romani con lingue di cervo onoriamo i protagonisti della finale.

Reggio Emilia e la gola. Portateli in trionfo, cari Arzan, questi protagonisti del secondo anno mirabile. Menetti generale dalle mille idee, grigliato soltanto dalla fatica. Società da nove globale per come gestisce, programma, difende i progetti, 4 al Pala Bigi e a chi ha voluto la concomitanza di gara sei col calcio. Dieci a Kaukenas, fin che regge fategli un contratto, quello tira avanti oltre i 45, più di Meneghin. Cinque alla dirigenza che merita voti altissimi per aver sempre privilegiato la riconoscenza verso i giocatori, i tecnici, ma avrebbe dovuto capire che nel “difficile” anno di assestamento dell’Olimpia dal budget due volte superiore, avrebbe dovuto garantire sostegni veri ai grandi vecchi. Un peccato di gola, siamo belli anche così, senza tener conto che la sfiga ci vede fin troppo bene. Un posticino a Strautins l’avremmo tenuto comunque, nella speranza che diventi presto tesserabile come italiano. Bene il gruppo Italia anche se Della Valle ci ha elettrizzato meno del solito perché i suoi orecchini hanno captato il canto di sirene che rubano al talento per arricchire la malvagità, le mezze misure. Anche Polonara, che imita il Luca Toni per sentire il boato della folla, dimenticandosi che una buona transizione te li ricaccia in gola i tuoi viaggi nell’effimero come gli urlava l’allenatore, ci ha lasciato l’impressione di aver fatto pochi progressi e sentir dire, dai soliti noti, gli zolfanelli del sistema, che in finale è stato penalizzato perché ha visto meno palloni, vuol dire proprio essere confusi. Comunque nelle sue specialità sempre un bel vedere: le coltivi e in estate, quando sarà libero, curi il resto, è ancora a metà strada e tira malissimo. Non pensavamo che De Nicolao reggesse così bene, soprattutto quando è rimasto senza Stefano Gentile a dividere l’onere del ruolo. Aradori bello nella parte del cagnaccio come dicono i tifosi, striscioni, maschere, meno fortunato del solito, ma se fosse stato al massimo forse Reggio sarebbe davvero arrivata alla settima. A Lavrinovic il bacio accademico, a Silins la sferza dei sani collegi inglesi.