Ho aspettato il giorno dopo, senza la gioia tanto decantata da Flavio Tranquillo in telecronaca, ma con quel briciolo di razionalità che ti permette di costruire un pensiero.
La Nazionale italiana non va a Rio, perde l’ennesimo treno a supporto del movimento, e questa volta senza nemmeno l’alibi di Simone Pianigiani. Eh già, l’ironico benservito di Gianni Petrucci all’ex coach, da un lato liberava l’opinione pubblica del capro espiatorio, dall’altro però toglieva l’ultimo alibi utile.
“La squadra più forte di sempre” con l’allenatore più bravo in circolazione, un connubio rafforzato dalla sede di Torino conquistata (pubblico numeroso, non caldo ndr.). L’immagine dell’Italia è stata oggettivamente deludente, con una versione offensiva prevedibile e lenta, mai con i tempi previsti da Messina, personalità latenti e tutti aggrappati alla difesa per giungere in finale. Anche i singoli protagonisti sono apparsi sbiaditi: Andrea Bargnani simbolo della generazione viziata dai soldi della NBA, Marco Belinelli alla testarda ricerca del canestro dell’onnipotenza (invano), Gigi Datome come Gesù… ma dentro il Santo sepolcro (per stanchezza), Alessandro Gentile ecumenico nell’accontentare lo stuolo di detrattori in giro per l’Italia.
Ma più che andare chirurgicamente a vivisezionare le prestazioni dei singoli, dobbiamo parlare di una generazione di talenti… sulla carta; non ci hanno portato da nessuna parte, la loro copertina patinata ha poi presentato un libro dalle pagine bianche o quasi.
Qual è il problema? Il problema è che per vincere non ci vuole solo la capacità tecnica o fisica, soprattutto ci vuole la testa. Quando si alza l’asticella della pressione, quando le aspettative sono tante, allora si che il cervello di un vincente lavora come e meglio di quando è in palestra; le letture, le esecuzioni, la gestione di sé stessi e del gruppo, quanto di più decisivo ad alto livello.
Quindi? Capacità cestistiche da 8 in pagella e struttura mentale da 4 producono cestisti da 6, la mediocrità, quella palesata negli ultimi anni.
Nemmeno il “santone” Ettore Messina è riuscito a raddrizzare un aspetto, forse allenabile (ma nella crescita del giocatore), maggiormente cromosomico. Anche Messina ha cavalcato il “dogma gentili ano”, ha osato poco, si è affidato alle certezze… sulla carta. Un po’ poco per un grande allenatore, il più bravo probabilmente, ma che in poco tempo non è riuscito a rafforzare struttura e mentalità.
Non sono d’accordo con Flavio Tranquillo, che si è premurato immediatamente di ammonire chiunque facesse processi alla Nazionale italiana; il problema è che nel tempo si sono consumate troppe “carezze” verso bambini prodigio, trovandoseli poi nel tempo viziati e senza spina dorsale. Qualche “ceffone” assestato prima, forse avrebbe reso i talentuosi ragazzi, degli uomini capaci di andare oltre i propri limiti.
Hanno vinto come sempre loro, quelli della terra balcanica, quelli che nel mezzo del casino del loro timoniere Petrovic e nella nomea di quelli con le “palle mosce” (cit. Tavcar), hanno trovato la leadership vincente di uomini come Bogdanovic e Simon, la classe cristallina di Saric e la ruvidezza d’area di un superlativo Planinic.
Chiudo con una citazione di Danilo Gallinari, giusto per esplicitare il pensiero in modo inequivocabile: “ci siamo rotti le balle di perdere!”.
Raffaele Baldini (www.cinquealto.com)