Simone Kos, quando il “ferro” diventa un’arte

La storia della guardia classe 1991 in forza al Basket Perteole: dall'addio al posto fisso alla trasformazione della propria passione in un lavoro. Quando la pallacanestro e l'arte si incrociano a meraviglia.

Immagini, visi, scritte, simboli: quante volte ci è capitato, guardando una partita di pallacanestro, di ammirare i tatuaggi che spesso coprono i corpi di giocatori in campo? Basket e tatuaggi, un connubio che è diventato sempre più “in voga” negli anni, fino a far parlare di sé con veri e propri personaggi “cult”: da Dennis Rodman, mitico rimbalzista dei Chicago Bulls di Michael Jordan, a Chris “Birdman” Andersen, saltatore tutto inchiostro e gel che ha pure scontato due anni di sospensione per un vizietto poco raccomandabile. Sono loro gli esponenti più in vista della categoria dei cestisti tatuati; una moda che è arrivata e si è diffusa anche in Italia: ma chi meglio di Simone Kos può parlare di come pallacanestro e arte, intesa come l’arte del tattoo, si intreccino? Kos, guardia di 185 centimetri classe 1991, attualmente in forza al Basket Perteole in Serie D, di professione fa proprio questo: il tatuatore. Siamo andati a scambiare due chiacchiere con lui, per capirne di più e discutere di come il basket non si limiti solamente al…campo.

Parliamo di pallacanestro, anzitutto: la tua carriera è partita dalle giovanili dell’Ardita Gorizia, ma poi come si è sviluppata? 
“Ho iniziato la mia avventura nel 2006, nel settore giovanile della Snaidero Udine: ho passato due anni vestendo il colore arancione di questa storica società, poi sono stato chiamato in Serie C1 a Latisana, dove ho giocato per una sola stagione. Da lì, mi sono trasferito a Villesse: nell’isontino ho trovato una posizione fissa, oscillando fra Serie D e Promozione, prima dell’approdo di quest’estate a Perteole”.

Il basket, spesso, viene inteso come un’arte, oltre che uno sport. Abbiamo assistito a diversi esempi, in questi anni, di come gli incroci fra pallacanestro, musica, film, scultura e molto altro ha prodotto argomentazioni “virtuose”: tu che cosa ne pensi?
“Mi sento di dire una cosa: il basket è arte, il basket è musicale. Queste caratteristiche vengono rappresentate attraverso il proprio modo di giocare e i diversi stili dei vari giocatori: un tiro da tre, una schiacciata spettacolare, un assist…sono tutti quanti dei movimenti artistici”.

Parliamo di te: sei un tatuatore, raccontaci di come è nata quest’attività. Pura passione o attitudine maturata nel tempo? 
“Direi che l’arte mi ha colpito fin dai primi tempi. Disegnavo già quand’ero piccolo, ricopiando i vari disegni di alcune riviste giapponesi. Negli anni, questa passione è cresciuta e, grazie all’aiuto degli amici e dei miei genitori, oltre che della mia forza di volontà, nel 2015 ho lasciato un lavoro fisso per intraprendere la nuova strada del tatuaggio. Ora, da circa un anno, mi trovo a lavorare a Monfalcone, nello studio RickyTattoo, colui che è uno dei migliori artisti in regione”.

Quanto è difficile farsi largo in questo campo e che caratteristiche ci vogliono per entrare nel mondo dei tatuatori?
“Direi difficilissimo; molte persone hanno deciso di aprire uno studio proprio, considerando il tatuaggio piuttosto una moda. Per avere maggiori possibilità di farsi notare bisogna avere una buona fantasia, in maniera da creare nuovi stili di disegno”.

Il tuo inchiostro è finito recentemente anche sulla pelle di un giocatore come Daniele Mastrangelo, cestista udinese che ha appena firmato a Scauri, in Serie B, ma che in regione è molto conosciuto per la sua militanza con Udine e Trieste. Ci sono altri esempi di sportivi che hai marchiato?
“Ovviamente il fatto di appartenere al campo della pallacanestro mi aiuta molto per conoscere nuovi giocatori e portarli sotto ai miei “ferri”; Daniele è un mio grande amico, ci siamo affrontati più volte nelle giovanili ed è stato un privilegio tatuarlo. Fra gli altri citerei Giancarlo Palombita, che spero di re-incontrare il prima possibile e al quale voglio mandare un “in bocca al lupo” per questa nuova annata cestistica, al pari di ragazzi come Michael Puto che è passato alla DGM Campoformido, un playmaker di livello come il triestino Marco Cerniz e altri atleti di Cervignano, oltre che diversi giovani cestisti”.

Quali sono i tuoi soggetti preferiti? 
“Direi che, nel campo del New School, prediligo soggetti molto colorati e cartonizzati, oltre che il realistico”.

Qual’è il lavoro più impegnativo che ti è mai capitato di fare fino ad oggi?
“Premettendo che il tatuaggio è di per sé complicato, direi che le scritte grandi e particolari sono quelle che mi fanno sudare di più, oltre ai ritratti di visi”.

Basket e tatuaggi: un connubio che è ormai all’ordine del giorno. Chi è un giocatore che vorresti tatuare e che ti ispira particolarmente?
“Sarei felice se qualche giocatore di Serie A passasse in studio a trovarmi; ho notato che Marco Belinelli si sta appassionando molto a questo ramo artistico, ma ovviamente qualsiasi giocatore è ben accetto”.

Cosa ne pensi dell’affermazione: “Oramai fanno più notizia le persone non tatuate che quelle che hanno un tatuaggio”? 
“Come sottolineato prima, il tatuaggio è diventato una moda; su dieci persone, almeno sette o otto ne hanno uno. Alla fin fine, però, nessuno è uguale a qualcun altro per cui chiunque può e deve decidere che cosa fare della propria vita: il tatuaggio è un modo per rappresentare la propria vita, gli ostacoli che gli si parano davanti o magari i propri sogni”.

Il tuo lavoro di ha dato modo di partecipare a fiere o convegni? 
“Ho partecipato ad una sola convention, l’anno scorso a Trieste, ma spero di farne ancora altre, magari in città più grandi e di alto livello come Milano, Roma, Torino o, perchè no, anche fuori dall’Italia”.

Se una persona volesse vedere i tuoi lavori o prendere contatto con te, come dovrebbe fare?
“Ho la mia pagina Facebook personale, al nome Simone Kos, ma ho anche un profilo Instagram, al contatto kaos_simo_ink”.

Infine, una chiusura tutta dedicata a te, al tuo pensiero libero. 
“Vorrei solamente dire a tutti i ragazzi della mia età, ma anche a quelli più piccoli o più grandi, di seguire i propri sogni e magari rischiare, perchè la vita è una sola e non va sprecata. Nel caso qualcosa vada storto, si può sempre dire “per lo meno ci ho provato”; volevo ringraziare i miei genitori, che mi hanno sempre supportato; mio fratello, che mi reputa una persona da cui accogliere consigli e la mia ragazza, che sopporta molte cose di me. Infine, ringrazio gli amici ed i clienti che vengono a “soffrire” da me, oltre ai miei compagni di squadra ed ai rivali di parquet che ho conosciuto negli anni trascorsi in campo”.