Fonte: La Gazzetta dello Sport, a cura di Massimo Oriani
«Da bambino guardavo le partite dei Bulls su un piccolo televisore da 12 pollici assieme alla mamma e allo zio. Scendere in campo allo United Center indossando questa maglia è un’emozione che nemmeno riesco a trasformare in parole». Welcome home Dwyane Wade, bentornato nella tua Chicago. Da protagonista, non da vecchia gloria venuta a svernare nella città natale, per una mozione degli affetti che sarebbe solo triste e non degna di tale campione. Infatti c’è voluto poco per capire che, se sano, può ancora essere Flash, soprannome di gioventù, quando aveva più elevazione, energia, gambe. Una sua tripla assassina, con 26 secondi da giocare, ha condannato i Boston Celtics al primo k.o. stagionale (105-99).
ORGOGLIO Un trepunti carico di significati, che vanno anche oltre il basket. «Mamma e zio erano sugli spalti – ha poi raccontato la guardia che ha lasciato Miami in estate dopo 13 stagioni e tre titoli – E’ la nostra città, so cosa ha voluto dire questa partita per loro, un motivo di grande orgoglio. Abbiamo vissuto insieme le gioie per i trionfi dei Bulls di Jordan e Pippen, erano i nostri idoli». Anche per questo quando lo speaker dello United Center ha annunciato il suo nome, prima di raggiungere i compagni in campo, si è inginocchiato per un attimo. Per dire grazie e per assorbire quel momento magico, conservarlo tra le memorie più care. «Sto vivendo un sogno – ha proseguito Wade – Siamo una squadra che ha tanto cuore, non fermatevi ad analizzarla guardando solo i nomi del roster».
COMPARSA Non certo una comparsa, dicevamo, anzi, un giocatore a 34 anni capace di reinventarsi. «Scopro d’aver sposato un tiratore da tre!» ha twittato durante la partita l’attrice Gabrielle Union, consorte di Dywane da due anni. Non ha torto. L’anno scorso aveva chiuso la stagione regolare con 7/44 (16%), nei playoff era salito al 52% (12/23), toccando il 55% (6/11) in preseason. In carriera ha un modesto 29% con pochissimi tentativi (conoscendo i propri limiti…), solo 1.6 a gara. «La prima tripla che ho infilato – ha detto Wade nel dopogara – è stata come un’esperienza extracorporea, non me ne sono reso conto».
CUBS A fine gara sugli spalti sventolava un striscione con la W, lo stesso che i tifosi sbandierano a Wrigley Field dopo ogni vittoria dei Chicago Cubs, che ieri notte hanno ospitato per la prima volta in 71 anni una gara di World Series di baseball. In parte la prima di Wade è stata oscurata dalla comprensibile spasmodica attenzione mediatica sull’evento del secolo per Chicago, da sempre la città dei Cubs più di qualsiasi altra franchigia dei quattro sport professionistici. Ma nessuno dimentica certo quanto l’ex guardia di Marquette ha fatto per la sua gente. Dopotutto parliamo della metropoli più violenta d’America (già più di 600 i morti ammazzati nei primi 9 mesi del 2016), dove la guerra tra gang rivali fa impallidire quella tra Crips e Bloods che insanguinò Los Angeles negli anni 70 e 80. La Fondazione Spotlight, da lui creata, aiuta a togliere dalla strada giovani con potenziale, offrendogli una chance per un futuro diverso.
HOIBERG In campo resta un leader. «E’ un piacere allenarlo – dice coach Fred Hoiberg – E’ un esempio per i giovani, siamo tutti felici d’averlo in squadra». I due anni di contratto per 47.5 milioni di dollari firmato in estate ha già iniziato a dare frutti. E soprattuto pare aver dato una scossa a una franchigia che era rimasta impantanata nell’equivoco Derrick Rose, il più giovane mvp nella storia della lega a 22 anni nel 2011, ma dannatamente fragile e non certo un cuor di leone. Avergli detto addio è stata l’unica scelta che i Bulls potevano fare per iniziare una nuova era. Che non potrà essere quella di Wade, vista l’età, ma che, grazie a lui, può quantomeno segnare una nuova via e dare un netto taglio al passato. Non sarà facile arrivare ai playoff, ma avere Wade in squadra dà ai Bulls una chance in più. Welcome home Dwyane.