Fonte: QS, a cura di Paolo Cittadini
Un ragazzo tutto palestra e pasta al ragù. Lee Moore è la sorpresa più piacevole del basket Brescia che, dopo 28 anni di assenza, è tornato a giocare in serie A. Nelle 5 gare fino a oggi disputate dalla Germani, Moore nei 28 minuti giocati a partita ha segnato 18.4 punti di media con percentuali al tiro da 2 e dalla lunga distanza che superano ampiamente il 40%. Non male per un 21 enne uscito dal college nei mesi scorsi e che per la prima volta si trova a giocare non solo tra i professionisti, ma addirittura in un Paese lontano un oceano dalla propria famiglia.
«La squadra mi chiede di aggredire il canestro e io lo faccio – ci racconta candidamente la guardia americana nata il 9 agosto del 1995 a Kennesaw nella contea di Cobb, nello stato della Georgia, al termine di una delle sedute di allenamento della Germani -. Se poi segno 10 o 20 punti nemmeno ci faccio caso perché il mio compito è mettermi a disposizione dei compagni». Idee chiare e pochi grilli per la testa per un ragazzo appena 21 enne che si è trovato catapultato in una realtà completamente diversa da quella in cui ha vissuto fino a poche settimane fa. «Sono a Brescia per giocare a basket, spiega. Ogni tanto esco e Brescia mi piace anche se la conosco davvero poco. La cosa che però ho capito in questi mesi è che qui si vive bene e i tifosi pur standoti vicino non ti soffocano. La mia vita adesso è il basket e nella testa ho solo la palla a spicchi». Non è una frase di circostanza: «Mi alleno in palestra e quando torno a casa mi riposo. Oppure guardo in televisione le partite dell’Nba. L’unico strappo a tutto questo è la pasta al ragù, un piatto che non avevo mai assaggiato ma che da quando sono qui in Italia ho iniziato letteralmente ad amare».
A Brescia è arrivato alla fine di agosto in prova. Gli sono bastate un paio di amichevoli per convincere tutti e strappare l’ingaggio per questa stagione con la possibilità di allungare il contratto di un anno. «È accaduto tutto molto velocemente – ricorda -. Quando sono sbarcato a Brescia non ho pensato che dovevo fare chissà che cosa. Sapevo che dovevo stare tranquillo e giocare al meglio. Visto il risultato direi che le cose sono andate per il verso giusto». Non è presunzione, ma soltanto voglia di raggiungere un sogno cullato da sempre. E come ogni ragazzino americano che gioca a pallacanestro il sogno è racchiuso in tre lettere: Nba. «L’Nba è il mio sogno. Mi piace LeBron James così come i Cleveland Cavs e gli Hawks di Atlanta, la squadra della mia città. Ancora però devo fare tante cose per meritarmi di trasformarlo in realtà, Brescia è una tappa per provare a raggiungerlo».