Fonte: Indiscreto.info a cura di Oscar Eleni
Oscar Eleni travestito da gorilla, è il momento direbbe Gabbani che ha gabbato la nostra cara Mannoia con un’accozzaglia di parole che assomiglia tanto alla vita, davanti al ristorante preferito di Boscia Tanjevic nella Trieste che è diventata la sua Camelot. Ci sarebbe da brindare ai suoi 70 anni, anche se lui dice di averne 35. E sì, nella logica del grande sognatore che ha sempre lavorato per dare qualcosa agli altri l’età vera è quella che senti: 35 nella amata Jugoslavia, la scuola di Belgrado, cultura, matrimonio, nella cara Sarajevo, Coppa dei Campioni vinta come allenatore a 32 anni, 35 in Italia, andando su e giù per l’Eurosistema, vincendo ovunque, dopo i capolavori di Caserta e Trieste poi trasferita a Milano per l’ultimo scudetto dell’altro secolo, tanti anni prima del primo vinto con il progetto Armani fondato su tantissimi giocatori che difficilmente resteranno nella memoria collettiva di una città che ama i Pascolo i Cerella e non è vero che ama soltanto i talenti. Gli crediamo. Lo abbiamo sempre fatto anche quando ci ha trattato male, anche quando non eravamo d’accordo su certi giocatori o capi giocatori, su certi dolorosi divorzi, su certi sogni impossibili, tipo far giocare Fucka o Bodiroga come play per tutta la vita (non è vero, urla il coro e il senso di colpa dentro di noi perché quelle esplorazioni furono geniali e straordinarie). Brindare ai 70 anni di Tanjevic in un tempo dove il ritorno degli avvoltoi, dal grifone al capovaccio, nei cieli italiani non ha nulla a che vedere con le messe funebri per lo sport nazionale smascherato in questi giorni.
Vogliamo sempre bene al rugby, ma qualcuno dovrebbe avvisare che urlare alla gente “mai paura” fa ridere se poi il campo accoglie gladiatori e congeda frittelle, perché non è una questione di coraggio o finto tale, ma di tecnica e qualità atletiche. La base e la scuola della palla ovale dove le troviamo a parte che nei racconti finti di chi mitizza un passato da esploratori? Non abbiamo mai considerato il tennis una terra per affetti popolari, sapere che un eliminato al primo turno di uno Slam se ne va con 50.000 dollari ci ha fatto rivedere tanti giudizi severi su chi non riesce più a reclutare in discipline dure, crudeli, vere, tipo l’atletica, ma sapere che si festeggia una salvezza al quinto set con le riserve argentine, che si minimizza sul disastro della femminile invecchiata e senza ricambi è davvero troppo. Sullo sci che si scioglie quando c’è da vincere davvero, mondiale, olimpiade, rispolveriamo la teoria che riguarda un po’ anche gli avvoltoi: in una Nazione dove lo sport serve, ma non è servito, come dice giustamente Pietrangeli, dove un errore arbitrale riempie più pagine di grandi imprese atletiche, dove i genitori si svenano per mandare il bimbo a fare lo sport giusto (già, per molti quello giusto è dove si guadagna tanto e magari anche subito) e poi gli portano la sacca o la cartella, dove gli ignoranti comandano al mercato che premia chi urla di più, senza sentire il tempo di una partita, di un’azione di una giocata, in questo Paese, dicevamo, l’italiano favorito viene mangiato dagli avversari perché la sua testa è indebolita dalle carezze. Molti pensano che ci siano interviste o copertine che portano sfortuna. Molti ignoranti lo dicono. La realtà è che questa ciucca di belle parole, di rosee previsioni, ruba l’unica cosa che serve anche nelle sfide sportive: fame di tutto, non soltanto di gloria.
Scivolare altrove. E non è da avvoltoio monaco dire che la grancassa sulla coppa Italia in partenza a Rimini ci sembra davvero come quella della sgangherata banda nelle strade dove una volta al mese si finge di fare festa fra manufatti che più finti non potrebbero essere. Capirete perché preferiamo garantire a Tanjevic che gli troveremo i voti per farlo diventare davvero presidente federale come ha detto anche a Bologna, nei giorni in cui è entrato nella nostra chimerica Casa della Gloria, facendo sorridere papa Petrucci e Messina che, però, conoscendolo, sanno che quello ci tenta davvero. Uno che a 70 anni dice di volerne in regalo altri 30 come allenatore che tipo di soggetto può mai essere? Certo i voti promessi sono soltanto quelli sentimentali. Era la stessa domanda che facevano Rubini e Porelli, tutti e due tenuti alla larga dai cubisti capaci di danzare intorno ai pali dei votaioli, sapendo che mai avrebbero potuto battersi contro gente abituata a conservare gomme e pennini, le prime per cancellare le buone idee, i secondi per scrivere cose quasi mai vere sullo stato della repubblica cestistica, ma anche dello stato sportivo. Le medaglie di Rio nel gozzo, vetrina, ma la sostanza è ben diversa. Lo sapevano, lo sanno, lo dovrebbero sapere. Dura vita nel gorgo dello sport, anche se per molti è quasi sempre meglio che lavorare per andare oltre l’inganno del fumo senza arrosti da benedire.
Via verso Rimini dove non invitiamo Boscia Tanjevic perché lui preferisce pensare, godersi il mare triestino, sognare sempre e comunque, arrabbiandosi perché un Doncic lo hanno a Madrid, perché Zizic è finito per 150 mila euro al Darussafaka e non alla Milano che per lui è stata quasi tutto, madre carissima, matrigna, terra di tormento ed estasi michelangiolesca. Si diverte di più a vedere Trieste in A2, a seguire Dalmasson in allenamento, a godersi il lavoro serio di una società che al pala Rubini porta spesso più di 6000 spettatori quando nell’ultimo turno di A “vera”, come l’aloe, a parte gli 11 mila di Milano, si notano dei meno quattromila. Diciamo anche che il Conegliano pallavolo femminile al Palaverde di Treviso porta sempre più di 5000 persone. Staccarsi malvolentieri dal fiume in piena chiamato Boscia Tanjevic che alza al cielo il suo toscano al caffè rosso urlando ai medici che nel combattimento non ci si arrende anche se puzza di chemio. Rimpiangeremo il pesce del suo amico ristoratore, ma certo lui non si rammaricherà perdendosi la gara delle schiacciate che, secondo i votati su gazzetta.it, dovrebbero essere fra Gaspardo, 3 punti nella sbornia cremonese contro la Torino dove tutto vacilla, Moraschini 0 con Trento che vola grazie alla difesa, Putney e il Norvel Pelle che a Varese vive l’incubo della retrocessione. Siamo dalla parte di chi organizza a Rimini se canta alla Gabbani, se il suo Namastè Olè cerca di richiamare alla fiera romagnola tanta gente, ma neppure Canavacciuolo riuscirebbe a fare un pranzo di alto livello con certi ingredienti e poi sarebbe brutto se alla fine le uniche stelle viste fossero quelle dei conti da pagare.