Siamo all’atto finale, Virtus Bologna e Alma Trieste di fronte per esaltare nobiltà e grandi cornici di pubblico. Si comincia al PalaDozza, teatro già “masticato” dalla squadra di coach Dalmasson nella precedente serie con la Fortitudo Bologna. Favorita d’obbligo la squadra di coach Ramagli, ma Trieste è l’avversaria più scomoda d’Europa.
Lasciarli anestetizzati – Puoi lavorare quanto vuoi sulle teste dei tuoi giocatori, più farli allenare con 10 pitbull alle calcagna, ma il ritmo partita è qualcosa da consumare sulle tavole parchettate con le condizioni emotive e di contorno di sfide che contano. La Virtus ha vissuto una serena serie con Ravenna e si è intiepidita nei giorni antecedenti gara 1 di finale. Trieste può quindi approfittare della situazione, cercando di allontanare l’ingresso nel match di Rosselli e soci; imperativo quindi andare avanti nel punteggio sin dalla palla a due ed evitare break che possano fungere da detonatore felsineo.
Green…ntoso – Non ho i dati statistici ma la variabile più incidente nella partite positive triestine è l’aggressività di Javonte Green ad inizio partita. Quando l’ala americana attacca il ferro con “cattiveria” cestistica, quando trascina i compagni con l’esaltante fisicità sui due lati del campo, ecco che la macchina sportiva biancorossa viaggia che è un piacere. Se l’approccio ondivago per Green è un fatto di indolenza caratteriale, in una finale è da scongiurare l’apatia, la posta in palio basta ed avanza per motivare anche un cadavere…
Quella sfumatura decisiva… – Trieste a Bologna, un rapporto cresciuto nel tempo ma non completato. Alle Final Eight strepitosi 36 minuti contro la Virtus Bologna e poi un tracollo firmato Lawson. In gara 4 al Paladozza contro la Fortitudo Alma ad un tiro dalla chiusura della serie. Insomma, manca quella sfumatura, quel tiro, quella giocata per portare a compimento una consacrazione strutturale. Attenzione, quel micro aspetto può diventare una voragine qualora diventasse un’ansia da prestazione, un micro aspetto può dividere la fine di una stagione con la finale scudetto (vedi tiro libero sbagliato di Nando Gentile ndr.).
Controllo dei tabelloni – Cittadini e soci hanno sempre sofferto molto la cruda fisicità di espertoni quali Michelori, Rosselli, Bruttini; la verticalità alle volte non basta quando la questione rimbalzi è tutta circoscritta ad un fisico “sportellamento” sotto le plance. Lo ha insegnato Dino Meneghin, il lavoro fatto in area è un concentrato di furberie, di saper prendere posizione ma soprattutto di famelica attitudine per avere la palla a spicchi fra le mani. Finale vuole dire anche esaltazione del lavoro oscuro.
Non dare mai per scontato – Se il roster della Segafredo fa paura per qualità dei singoli, ben più pericolosi sono quei “loschi” figuri che, come serpenti nel deserto, stanno silenti nascosti nell’ombra per attaccare quando meno te l’aspetti. Stefano Gentile, Marco Spissu e Michael Umeh possono giocare gran parte di una gara 1 facendo 0/10 al tiro ed affossarti con 3-4 conclusioni “ignoranti” nel finale. Occhio, questi sono giocatori a sangue freddo…
Boscia Tanjevic tifa Trieste!
Raffaele Baldini (www.cinquealto.com)